Conversa con l’autore Claudio Siepi.
L’AUTORE
Giuseppe Culicchia (Torino, 1965), ex libraio, è figlio di un barbiere siciliano e di un’operaia piemontese. Ha pubblicato 24 libri con i maggiori editori italiani ed è tradotto in dieci lingue. Dal suo long seller “Tutti giù per terra”, ristampato da oltre vent’anni, presente nelle antologie scolastiche e incluso da Mondadori nella collana 900 Italiano, è stato tratto l’omonimo film. Il suo “Torino è casa mia” è il titolo di maggiore successo della collana “Contromano” di Laterza. Di Einaudi il recente “Mi sono perso in un luogo comune”. Tra gli altri titoli pubblicati: Il paese delle meraviglie (2004), Brucia la città (2009), Sicilia, o cara (2010), Venere in metrò (2012), E così vorresti fare lo scrittore (2013). Ha tradotto tra gli altri Mark Twain, Francis Scott Fitzgerald e Bret Easton Ellis.
IL LIBRO
Giulio, trent’anni superati da poco, viene raggiunto dalla notizia della morte del padre. Famoso direttore d’orchestra, si era trasferito anni prima a Berlino, dove era stato nominato direttore della Filarmonica. Ossessionato dall’esecuzione della Nona Sinfonia diretta da Furtwängler nel 1942 per il compleanno di Hitler, aveva costretto l’orchestra a migliaia di prove estenuanti per ripeterla identica. La rivolta dei musicisti e l’accusa di nazismo che ne era seguita avevano troncato la sua carriera. Sullo sfondo di una Berlino in costante mutazione, Giulio intraprende il suo viaggio per raccogliere i pezzi della vita di quel padre scomparso improvvisamente e che aveva visto così poco dopo che aveva lasciato la madre e lui e suo fratello ancora bambini. Tocca a Giulio occuparsi di tutto e, nell’appartamento berlinese, tra gli oggetti, i libri e i file personali, quella che piano piano prende forma davanti ai suoi occhi è una nuova immagine del padre, una nuova storia.
Culicchia scrive il suo capolavoro a nervi scoperti, un romanzo percorso da un’intensità indimenticabile, che racconta e riflette su amore, fallimento, ossessione, e sul rapporto tra padri e figli. Sulla nostalgia di ciò che è passato e non tornerà più e di ciò che non è mai accaduto, di ciò che non siamo riusciti a far accadere. E allora come si colmano i vuoti da noi stessi creati? Che cosa significa fallire? Cosa significa per un padre lasciare i figli? E per i figli crescere con un amore spezzato a metà? Può un’ossessione salvarci dal rimorso e dal rimpianto? Può un orrore che è altro da noi salvarci dalla nostra personale tenebra?
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