Ambiente

Trivelle, Consiglio di Stato boccia i ricorsi. Legambiente: “Preoccupati per il futuro del nostro mare”

ANCONA – “Siamo molto preoccupati per le conseguenze che questa decisione avrà sul destino del mare marchigiano. È ora di avere il coraggio di dire basta a questa dannosa corsa al petrolio e all’utilizzo dell’airgun per la ricerca di idrocarburi – dichiara Francesca Pulcini, presidente di Legambiente Marche – Il petrolio è una vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, protagonismo delle grandi lobby. Ora più che mai è necessario spingere l’innovazione energetica e investire sulle fonti rinnovabili, che negli ultimi anni hanno visto una crescita esponenziale nella nostra regione e rappresentano una soluzione concreta per contrastare i cambiamenti climatici”.

Questo il commento di Legambiente alla recente sentenza del Consiglio di Stato, che ha confermato il via libera alle attività di ricerca di idrocarburi, autorizzate dal Ministero dello Sviluppo Economico, davanti alle coste di Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise , Puglia e che riapre la partita per il progetto di installazione della piattaforma Eni “Bianca& Luisella” nel tratto di mare a confine tra Marche ed Emilia Romagna.

Una decisione che lascia ancora di più con l’amaro in bocca se si considera che sono oltre 25mila gli impianti da fonti rinnovabili distribuiti in tutti i Comuni della Regione Marche, che complessivamente producono l’85% di energia elettrica regionale e sono in grado di coprire il fabbisogno energetico di oltre 700mila famiglie, come emerge dall’edizione regionale del rapporto “Comuni Rinnovabili” di Legambiente. Una crescita inesorabile che dal 2010 al 2016 ha visto il passaggio da 0,4 GW a 1,4 GW di potenza installata con un complessivo +211% e che dimostra quanto le Marche possano svolgere un ruolo da protagoniste verso un futuro 100% rinnovabile.

La tecnica dell’airgun – il metodo di ricerca più utilizzato nel settore delle attività estrattive – prevede il rapido rilascio di aria compressa nell’acqua, generando onde a bassa frequenza e rappresenta un’importante fonte di inquinamento acustico dell’ambiente marino. Sono numerosi gli studi internazionali e nazionali che confermano la dannosità dell’utilizzo di questo metodo che può avere ripercussioni sulla fauna marina anche a diversi chilometri di distanza dal punto di effettiva esplosione.

In Italia sono 136 le piattaforme offshore. Il tratto di costa maggiormente interessato è quello che va dall’alto adriatico fino alle coste dell’Emilia Romagna con 75 piattaforme, seguito dal medio Adriatico con 46, 9 nel canale di Sicilia e 6 nello Ionio. Con un contributo totale al fabbisogno energetico del Paese di pochi punti percentuali per il gas e solo dell’1% circa per il petrolio, a dimostrazione che tutto ciò va favore esclusivamente delle compagnie che detengono i titoli e le concessioni minerarie.

“La decisione del Consiglio di Stato dimostra quanto si continuino a sottovalutare gli enormi impatti negativi che l’utilizzo massiccio della tecnica airgun ha nei confronti delle specie marine e sull’intero ecosistema marino – conclude Pulcini –. Ci uniamo, quindi, all’appello di tutti

coloro che hanno già espresso il loro dissenso e ci impegniamo a promuovere azioni concrete per fermare la realizzazione di progetti che rischiano di compromettere per sempre il nostro mare. Inoltre chiediamo alle Istituzioni di dare attuazione agli impegni presi nella precedente legislatura e di vietare l’utilizzo di questo metodo per la ricerca di idrocarburi in mare, che non porta vantaggi in termini economici alla collettività, di conoscenza scientifica e ambientale”.

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Redazione

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