Lo spettacolo, in un atto unico, riprende il romanzo pubblicato nel 1975 e adattato per il cinema la prima volta nel 1977 e la seconda nel 2020 già al centro di un discusso premio Goncourt, in quanto nella storia del premio costituisce un’eccezione e rappresenta una mistificazione. Romain Gary infatti lo aveva già vinto nel 1956 con Le radici del cielo e per regolamento il Goncourt non può essere attribuito due volte allo stesso autore. Gary aveva deciso di far uscire il romanzo sotto pseudonimo a causa delle critiche ricevute. “La vita davanti a sé” venne dunque pubblicato con il nome di Emile Ajar: un parente di Gary accettò di attribuirsi tale identità. La verità fu conosciuta solo dopo la morte di Gary nel 1980, anche se la possibilità che Gary fosse il vero autore era già stata ipotizzata fin dalla pubblicazione del romanzo. Il Premio Goncourt a “La vita davanti a sé” non è mai stato revocato.
La storia è quella di Momò, un bambino arabo di dieci anni che vive a Parigi, nel quartiere multietnico di Belleville, nella pensione di Madame Rosa, anziana ex prostituta ebrea che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli “incidenti sul lavoro” delle colleghe più giovani. È un romanzo commovente e attualissimo, che racconta di vite sgangherate che vanno alla rovescia, ma anche di un’improbabile storia d’amore toccata dalla grazia. Silvio Orlando ci conduce dentro le pagine del libro con la leggerezza e l’ironia di Momò, diventando, con naturalezza, quel bambino nel suo dramma e nell’amicizia con un negoziante musulmano. Il genio di Gary ha anticipato, senza facili ideologie e sbrigative soluzioni, il tema dei temi contemporanei: la convivenza tra culture, religioni e stili di vita diversi. Il mondo ci appare oggi improvvisamente piccolo e claustrofobico; i flussi migratori si innestano su una crisi economica che, soprattutto in Europa, sembra diventata strutturale, creando nuove e antiche paure soprattutto nei ceti popolari, i meno garantiti. Allora quale funzione può e deve avere il teatro? Non certo indicare vie e soluzioni che a oggi nessuno è in grado di fornire, ma una volta in più raccontare storie emozionanti, commoventi, divertenti, significative. Raccontare la storia di Momò e Madame Rosa nel loro disperato abbraccio contro tutto e contro tutti è dunque necessario e utile. Le ultime parole del romanzo di Gary, scelte come filo conduttore per l’attuale stagione teatrale, dovrebbero essere uno slogan e una bussola in questi anni in cui la compassione rischia di diventare un lusso per pochi: “Bisogna voler bene”.
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