Ancona

Rugby Jesi ’70, intervista a Peter Cunnington

Icona del Rugby Jesi ’70, ha cresciuto generazioni di giocatori e allenatori, dal minirugby alla prima squadra

JESI – «Correre con il pallone, saltare, rotolare a terra: per un bambino, il rugby è un gioco naturale, fantastico! Quando ho cominciato, a undici anni, per me poter fare tutto questo è stato un regalo. A 75 anni, ho ancora entusiasmo e il rugby non l’ho mai lasciato. E vedo che rende la vita dei bambini che alleno più bella, gliela migliora». Parola di Peter Cunnington, a Jesi il volto e la voce per eccellenza del rugby. Icona del Rugby Jesi ’70, ha cresciuto generazioni di giocatori e allenatori, dal minirugby alla prima squadra (con tanto di una promozione in B), tutte le categorie di casa al “Latini” fino, oggi, alla Under 8.

«Siamo felici di poter continuare a fare qualcosa, proseguendo l’attività anche in questi tempi e rispettando tutte le norme di sicurezza, nonostante le difficoltà» commenta Cunnington questa fase condizionata dalle limitazioni anti-Covid. «Certo, non poter utilizzare spogliatoi e docce crea diversi problemi. E poi, dover evitare il contatto in uno sport che vive di contatto come il rugby, non è certo il massimo. Ma ce la facciamo e andiamo avanti- spiega il tecnico inglese- stando in campo noi per primi con la mascherina e rinunciando per ora a certi aspetti ai quali, in tempi normali, io credo molto. Come la vicinanza dei genitori mentre ci si allena, che è importante quando si hanno bambini anche di 5 anni e mezzo. Il rugby diventa in quella maniera un grande divertimento reciproco, per i piccoli e per i grandi. Prima o poi tornerà così».

Quella di Peter Cunnington è una bella storia di rugby. «Sono a Jesi da più di 24 anni e in Italia anche da prima. Ho giocato da professionista in Inghilterra e poi a Treviso, dove ho iniziato anche ad allenare passando per Pesaro e quindi insieme a mia moglie, pesarese, approdando a Jesi, dove guidando la prima squadra siamo anche saliti in B. Ricordo che, quando mi è stato proposto per la prima volta di seguire il minirugby, ho pensato che non sarei stato adatto a stare coi bambini. Anche se di professione ho fatto l’insegnante, sì, ma con ragazzi più grandi. E invece mi sono subito trovato a mio agio. Come con i grandi, bisogna saper essere autorevoli, saper farsi ascoltare e capire. E dare a questi ragazzi i principi che amiamo del rugby».

Una fede nei valori della palla ovale che Cunnington non ha mai abbandonato e continua a trasmettere ai giovanissimi. «Il rugby – spiega- è nato in Inghilterra, nella città di Rugby appunto, ed è nato nelle scuole che formavano e educavano i giovani dell’élite del tempo. Nel suo Dna, venendo dalla scuola, c’è il rispetto: per gli avversari, per l’arbitro, per la società e gli amici di squadra. Ed è per questo che, pur essendo uno sport di contatto, non è mai uno sport violento: perché si placca nel rispetto delle regole e dell’avversario, nella maniera in cui è permesso farlo. E poi ci si stringe la mano. E inoltre va incontro a ciò che è naturale per il bambino: correre col pallone, saltare, strisciare a terra, sporcarsi, lottare. Poterlo fare liberamente, per un bimbo, è l’ideale. E in questo momento a loro manca ancora di più».

In questi anni insieme, Peter Cunnington e il Rugby Jesi ’70 di strada ne hanno fatta. «Mi fa enorme piacere quando arriva chi mi dice “ti ricordi di me?” perché l’ho allenato e magari oggi sta portando suo figlio a giocare ancora da me. Ho visto crescere ragazzi che sono diventati giocatori, allenatori e dirigenti e ho visto crescere tanto la società. Penso al campo e agli spogliatoi che ho trovato arrivando la prima volta con mia moglie e alla struttura moderna che c’è oggi, con due impianti, una club house e tutto quello che serve. Allora ci si arrangiava ma c’era già quello spirito che portava sempre a fare un passo in più, mettendo il proprio impegno personale per il miglioramento di tutta la società. E i risultati si vedono».

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Pubblicato da:
Marina Denegri

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