Rugby Jesi ’70, come si allenano i più piccoli in tempo di Covid

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Ce lo spiega Juri Baglioni, responsabile del settore che vede una cinquantina di iscritti fra i 6 e i 12 anni

Juri Baglioni, responsabile minirugby Jesi, all'ingresso dello Stadio di Twickenham in Inghilterra, tempio del rugby (2)-1

JESI – «Stiamo portando avanti l’attività e la risposta di partecipazione è buona. I bambini sono entusiasti: tanto più in questa fase, per loro fare sport – pur con gli accorgimenti e le precauzioni dovute – è una delle poche possibilità che hanno per muoversi, rivedere i compagni, divertirsi». Così Juri Baglioni, responsabile del settore minirugby del Rugby Jesi ’70: nel complesso una cinquantina di giovanissimi, fra i 6 e i 12 anni, che divisi per fasce d’età continuano anche in queste settimane a trovare, nell’impianto di via Mazzangrugno, un punto di riferimento.

«Siamo scesi da tre a due allenamenti la settimana- spiega Baglioni- e ci stiamo allenando seguendo quelle che sono le disposizioni federali: non c’è più il contatto del gioco, ci si concentra su parte atletica e movimenti, naturalmente nel rispetto di tutte le prescrizioni di sicurezza. E la risposta c’è: un 50% circa dei nostri iscritti continua a venire con una certa regolarità e anche con il passaggio delle Marche dalla zona gialla alla arancione i numeri si sono mantenuti. Uno zoccolo duro che resiste bene».

Una situazione, inedita, che ha comportato un ulteriore sforzo organizzativo per tutti. «L’area del campo dove ci si allena è accessibile solo ai tesserati- descrive Baglioni- ovvero tecnici, dirigenti e giocatori. L’allenatore che sta in campo con la squadra indossa la mascherina. I familiari dei piccoli restano fuori dal terreno di gioco. Una turnazione fra di noi tiene sempre qualcuno all’ingresso del campo per il servizio di accoglienza: ritiro delle autocertificazioni che ogni volta chi viene ad allenarsi deve consegnare, rilievo della temperatura, igienizzazione delle mani. Gli spogliatoi vengono utilizzati solo per lasciare le borse: i bimbi arrivano già pronti per andare in campo e ripartono così, senza cambiarsi e rivestirsi sul posto, come da indicazioni».

Sembrerebbe difficile, eppure l’attaccamento di grandi e piccoli a questo momento collettivo intorno alla palla ovale resta forte. «Per bimbi e ragazzi è una delle poche occasioni di socializzazione rimaste, accompagnati da figure adulte che fanno rispettare distanziamenti e accorgimenti di sicurezza. In questo la Federazione si è molto impegnata, in contatto costante col Ministero, per dare a tutte noi società le indicazioni su cosa fare e come comportarsi. Per i nostri piccoli atleti, con alle spalle i tre mesi di lockdown che sono stati davvero pesanti, il campo è un momento di festa e di svago, in cui possono di nuovo correre e rivedere gli amici. E gli allenatori sono stati bravi a trovare la modalità giusta per mantenere alti il morale e la voglia di fare sport».