Si legge nella loro nota:
Oggi , 15 giugno, è la data in cui i teatri possono riaprire ma noi non possiamo tornare tutti a lavorare. Le forme di spettacolo compatibili con le norme di distanziamento sociale coinvolgono un numero molto ridotto di lavoratrici e lavoratori e le stesse norme rendono insostenibili i costi per le piccole realtà teatrali e anche per i grandi eventi, a causa del limite di pubblico imposto per garantire il distanziamento.
Oggi, 15 giugno,il governo non ci ha restituito il lavoro ma ci ha abbandonati.
Chiediamo di essere convocati dal vivo per discutere soluzioni che possano permettere a tutti noi di arrivare dignitosamente alla completa ripresa del settore . Perché questa riapertura, con queste modalità, non è la soluzione e non deve costituire terreno fertile per una quotazione al ribasso delle nostre professioni.
Questa situazione di emergenza ha fatto scoppiare un settore già malato e da sempre trascurato. Nel nostro settore coesistono categorie con problematiche diverse: tra noi ci sono lavoratori, soprattutto tra le maestranze e i tecnici (quindi sarte di scena, attrezzisti, macchinisti, elettricisti, rigger, fonici, tecnici audio e luci, trucco e parrucco, direttori di scena ecc..ecc..) che lavorano sempre a contratto ma con contratti a intermittenza, a tempo determinato o a prestazione. Ci sono categorie ,come ad esempio gli attori o i musicisti, che riescono ad avere contratti solo nei giorni di spettacolo, quando invece dietro ci sono giornate di prove non retribuite e che a volte si ritrovano a lavorare a nero, e che comunque guadagnano sugli incassi . Ci sono autonomi, precari, partite Iva, dipendenti, intermittenti…
Quest’emergenza ha portato alla luce tutte queste problematiche che ora vanno affrontate per non ritrovarsi mai più in stato di precarietà e di abbandono come in questo momento di emergenza.
Siamo lavoratori a tutti gli effetti, che vivono del proprio lavoro, un lavoro di vocazione, perché ci emoziona…ci appaga, un lavoro fatto di condivisione di arte e bellezza con il pubblico.
Il nostro lavoro ci manca, il pubblico ci manca. E lo spettacolo DAL VIVO , si chiama così perché si fa su un palcoscenico, dietro le quinte ,in quota ma sempre con un pubblico in carne ed ossa davanti. Non in streaming.altrimenti non si chiamerebbe “dal vivo”.Noi non vogliamo nessuna Netflix della cultura!
Da Marzo ci ritroviamo senza lavoro, ancora in attesa di ricevere gli ammortizzatori sociali promessi che non riceviamo da Aprile e che sono cmq insufficienti. In più, con la riapertura dei teatri e degli eventi dal vivo, di fatto irrealizzabili a queste condizioni, non avremo più accesso a nessuna forma di sostentamento economico. Ma le tasse, i mutui, le utenze, gli affitti li paghiamo comunque. Molti percepiranno la disoccupazione ancora per qualche mese, altri l’hanno già terminata . E non stiamo versando contributi e accumulando giornate da febbraio!
Il governo riapre i teatri e gli eventi dal vivo ma non restituisce, a più della metà di noi, il diritto al lavoro, e non ci riceve dal vivo per trovare insieme una soluzione che ci permetta di sopravvivere, perché forse non ci ritiene degni e produttivi? Questa è la considerazione che hanno cultura e arte in Italia?
Dal 30 maggio abbiamo dichiarato uno stato di agitazione permanente che si concluderà solo quando saremo ritenuti degni di essere ricevuti, ascoltati e tutelati.
Ringraziamo Ascanio Celestini che ha sostenuto e condiviso il nostro presidio davanti al teatro. E ringraziamo il pubblico che era dentro a godersi lo spettacolo e il pubblico fuori dal teatro con noi.
Ora tocca alle istituzioni locali e nazionali. Convocateci dal vivo. Esistiamo anche noi”.
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