“Avevo due giorni liberi – racconta all’ANSA Valeria – e invece di restarmene a casa a non fare niente ho pensato di andare ad Amatrice, una città con una dignità culturale strepitosa, un bel tessuto artistico e storico. Non c’ero mai stata prima. L’idea era di mangiare una pasta all’amatriciana e di girare un po’. Con il mio compagno ci siamo detti: perché non ci fermiamo? E per caso abbiamo trovato posto in un agriturismo. Martedì abbiamo pranzato all’hotel Roma, dove c’era una vetrata affacciata su un panorama spettacolare. Abbiamo mangiato la famosa amatriciana e dopo pranzo ce ne siamo andati ancora a zonzo. C’era tanta gente, perché quel giorno si teneva ‘Borgo in sagra’. Io sono una guida turistica, sono un po’ fissata con queste cose”.
Al momento di decidere se restare ancora una notte, il destino ha fatto il suo gioco: “Mercoledì dovevo tornare a lavorare, e siamo ripartiti. Sennò sarei morta. Sono sempre più consapevole che, per quanto razionali possiamo essere nelle scelte, la vita non è nostra e dobbiamo essere pronti a restituirla in ogni momento. Oggi Amatrice non esiste più. E sotto quelle macerie potevo esserci anche io”.
Quella che poteva essere la sua vita parallela Valeria l’ha scoperta poco dopo la prima scossa di terremoto, quand’era al sicuro a casa sua: “Ho sentito il letto muoversi, e all’inizio ho immaginato che fossero i miei gatti. Poi mi sono collegata ai social e ho visto quello che era successo, e che l’epicentro del terremoto era vicino a Amatrice, dov’ero stata solo fino a poche ora prima. Ora darei l’anima per sapere se le persone che ho incontrato lì sono ancora vive”.
Valeria pensa soprattutto a una bella bambina bionda da lei immortalata in una foto: è insieme alla mamma, che tiene in braccio una bimba più piccola, alla nonna e a un cagnolino che “fissa l’obiettivo, come se mi guardasse negli occhi”, mentre “sembra che la bimba, con il suo bel vestitino rosso, si sia messa in posa per me”.
Una foto che Valeria ha postato anche sul suo profilo Facebook, con il commento: “Ieri pomeriggio. Di un secolo fa”. Di foto, che documentano l’immediato ‘prima’, la quotidianità a poche ore dalla tragedia, ne ha scattate tante in quella breve vacanza: “Vorrei farne dono al sindaco di Amatrice, anche se sono scatti alla buona, perché raccontano un patrimonio che non so se mai saremo capaci di ricostruire”.
“Io sono sola, i miei non ci sono più. Si vede che non mi volevano con loro – scherza, con l’amaro in bocca – Corinaldo è il paese di Santa Maria Goretti: qui la chiamano ‘Marietta’, non aveva ancora 12 anni quando fu uccisa. Io sono agnostica, ma sono andata al Santuario a lei dedicato e ho scritto ‘grazie’ sul libro delle preghiere”.
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