Secondo Legambiente nelle Marche sono 323 le ordinanze di demolizione emesse dal 2004 al 2018 in 23 comuni costieri della regione che hanno risposto all’indagine “Abbatti l’abuso”. Di queste, però, solo una è stata eseguita con il ripristino dei luoghi e l’abbattimento del manufatto abusivo: in pratica non si sfiora neanche l’1% delle ordinanze totali. Numeri che costano alla nostra regione il penultimo posto in classifica. Di conseguenza quello che emerge a livello regionale è, purtroppo, un quadro a tinte fosche: c’è un’inerzia diffusa di fronte all’abusivismo e alle prescrizioni di legge rispetto alle procedure sanzionatorie e di ripristino della legalità.
Inoltre la reticenza dei comuni nell’affrontare questo problema si riflette anche nella mancata trasparenza nel diffondere i dati sul fenomeno. In un quadro nazionale già di per sé negativo (all’indagine di Legambiente sull’abusivismo nei comuni italiani hanno risposto appena il 22,6% degli enti totali coinvolti), i Comuni litoranei marchigiani – nonostante siano quelli colpiti da un tasso di abusivismo decisamente alto-sono tra quelli che rispondono meno volentieri: solo il 17,4% ha voluto fornire informazioni.
«Siamo di fronte a una pagina vergognosa che ha prodotto e alimentato illegalità e ha cambiato i connotati a intere aree della nostra regione – dichiara Francesca Pulcini,presidente di Legambiente Marche –. Non c’è altra soluzione: contro gli abusi edilizi il migliore deterrente sono le demolizioni. Il contrasto all’abusivismo edilizio rappresenta una battaglia cruciale per la nostra regione, dove, in un territorio di per sé già vulnerabile, la cementificazione selvaggia intreccia tragicamente i suoi effetti con maltempo ed eventi naturali come il terremoto. Per questi motivi chiediamo ai Comuni di abbattere le costruzioni abusive presenti nei loro territori di competenza. Il passo successivo, inoltre, deve essere quello di una legge regionale che fissi un vincolo di inedificabilità assoluta per tutte le aree costiere ancora libere dall’edificato di almeno un chilometro dal mare. Solo così potremo riscattare e tutelare interi territori e le loro comunità, ripristinando legalità, sicurezza e bellezza».
Secondo la legge, infatti, il patrimonio edilizio abusivo, colpito da ordine di abbattimento non eseguito entro i tempi di legge, è a tutti gli effetti proprietà del Comune, che lo demolisce in danno dell’ex proprietario o può destinarlo a usi di pubblica utilità. Ma oggi i Comuni agiscono più che altro su sollecitazione della Procura della Repubblica, almeno per gli immobili colpiti da ordinanze sancite da sentenza di terzo grado. Di fronte all’aut aut dei giudici, i sindaci hanno poche alternative. Gli abusivi lo sanno e, non di rado, decidono di auto-demolire, risparmiando migliaia di euro di spese: in media, per ogni abuso abbattuto d’ufficio ne viene abbattuto uno direttamente dagli stessi proprietari.In generale, però, soprattutto in caso di costruzioni abusive sui litorali, le ruspe faticano ad arrivare, perché le case per le vacanze “non si toccano”. Perché spesso tra quelle villette affacciate sull’arenile, che consentono di fare un tuffo in mare percorrendo pochi passi, non ci sono quelle dei mafiosi ma anche dei “colletti bianchi”. E per salvare le loro case abusive, salvano anche tutte le altre.
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